UPI “Le Province e i Servizi per l’Impiego per un mercato del lavoro più efficiente”
Roma, 16 ottobre 2012
Prot.n.972
Ai Presidenti delle Province
Agli Assessori al Lavoro
Ai Dirigenti del settore Lavoro
Ai Direttori delle Upi regionali
Oggetto: Trasmissione documento UPI “Le Province e i Servizi per l’Impiego per un mercato del lavoro più efficiente”
Caro Presidente/Assessore,
con la presente Ti inviamo una nota tecnica dal titolo“Le Province e i Servizi per l’Impiego per un mercato del lavoro più efficiente” che
contiene le nostre considerazioni e la nostra proposta relativa al
governo del mercato del lavoro sul territorio recentemente inviata al
Ministro Fornero (a cui abbiamo richiesto un incontro) e alle parti
sociali.
Sicuri di un’attenta e sensibile valutazione, aspettiamo eventuali Tue osservazioni al riguardo.
RingraziandoTi per la collaborazione, Ti inviamo i più cordiali saluti.
Giuseppe Castiglione
LE PROVINCE E I SERVIZI PER L’IMPIEGO PER UN MERCATO DEL LAVORO PIU’ EFFICIENTE
– LE PROPOSTE DELL’UPI –
Settembre 2012
1) LA SITUAZIONE DEL MERCATO DEL LAVORO ITALIANO E LA NECESSITA’ DI UNA RIFORMA
Sono passati più di 15 anni dall’avvio della Strategia di Lisbona, quasi 15
anni dall’avvio del decentramento amministrativo che ha definito tra
l’altro la riforma dei servizi per l’impiego e quasi dieci anni dalla
Legge Biagi, che ha avviato una profonda riforma degli istituti del
mercato del lavoro e dal decreto legislativo 276/03 che ha promosso la
competizione tra i servizi per il lavoro ed ampliato i soggetti
operatori del mercato del lavoro, con l’accreditamento sul territorio
delle agenzie per il lavoro.
In questi dieci anni il nostro mercato del lavoro, nonostante queste
riforme e la destinazione per l’occupazione delle risorse del Fondo
sociale europeo, è peggiorato. Si tratta di un peggioramento qualitativo
e quantitativo: rispetto ai numeri del lavoro siamo l’unico Paese
europeo che ha nel 2012 un tasso di occupazione più o meno pari a quello
di dieci anni fa, in cui il numero degli occupati non è aumentato.
Rispetto alle forme del lavoro, negli ultimi anni la percentuale di chi
entra nel mercato del lavoro con rapporti a termine è passata dal
cinquanta al novanta per cento, mentre la possibilità di stabilizzazione
è drasticamente diminuita.
Siamo anche l’unico paese europeo in cui, rispetto al contenuto del lavoro, a
fronte del fenomeno della polarizzazione delle competenze, è cresciuta
solo la domanda di competenze elementari, mentre la capacità del mercato
del lavoro di assorbire o valorizzare le competenze dei laureati è la
più bassa d’Europa. I risultati in termini di occupazione, promozione
delle competenze e della qualità del lavoro, andamento della
produttività e dei salari di questo decennio sono del tutto inadeguati e
mostrano un mercato del lavoro che non regge la sfida europea.
Non si tratta di dati e di eventi determinati solo dalla crisi finanziaria
del 2008: è evidente per ogni osservatore attento come la crisi abbia
aggravato fenomeni già in corso. La diminuzione dell’occupazione
avvenuta dopo il 2008 ha causato il calo di una produttività che si
reggeva solo sulla base occupazionale e sul monte ore lavorate e non su
investimenti in innovazione ed efficienza, così come ha determinato la
mancata conversione di centinaia di migliaia di rapporti di lavoro a
termine, cresciuti grazie alla Legge Biagi, ma che una economia fragile
non era riuscita a rendere stabili. La misura della debolezza del nostro
mercato del lavoro e del sistema produttivo è resa evidente dalla
scarsa domanda di competenze medio alte rispetto ai paesi europei
concorrenti ed al tempo stesso dalle difficoltà dell’incontro tra
domanda ed offerta di lavoro.
Questi fenomeni e questa realtà hanno reso necessario l’intervento di riforma
del mercato del lavoro promosso attraverso la legge Fornero. Tuttavia la
ragione e la coerenza richiedono al tempo stesso una valutazione chiara
e lucida del mancato funzionamento e del reale impatto di alcune scelte
di fondo delle riforme intervenute negli ultimi anni. Se non vengono
cambiate le scelte che in questi ultimi anni si sono rivelate inefficaci
e questi modelli e politiche vengono perpetuati, sulla base di logiche
che non misurano i risultati, ma altre convenienze, il rischio è quello
che vengano compromesse le scelte della riforma voluta dal Governo
Monti. La legge 92 del 2012 non interviene sulle misure di politica
attiva ed i servizi per l’impiego in modo diretto ed esaustivo, in
quanto fa discendere l’efficacia delle riforme impostate da successive
intese con le regioni, che sono chiamate a cambiare quanto in questi
anni non ha funzionato e ad affrontare per questo alcune questioni di
fondo :
- La funzione dei centri per l’impiego;
- Il diritto-dovere ad una misura di politica attiva e di reimpiego;
- Il finanziamento del sistema di servizi per il lavoro;
- La governance e le reti territoriali per il lavoro, la formazione e lo sviluppo.
Appare evidente che le decisioni dei decreti attuativi della riforma Fornero
sul mercato del lavoro, tra i quali il decreto legislativo di riforma
dei servizi per l’impiego e delle politiche attive che dovrebbe essere
chiamato anche ad intervenire sul destino dei centri per l’impiego,
debbano tener conto di quanto in questi anni è avvenuto, attraverso una
analisi oggettiva e scevra da posizioni strumentali o parziali.
2) L’IMPIANTO NORMATIVO DEL GOVERNO DEL MERCATO DEL LAVORO ED I MOTIVI DELLE SCELTE
E’ corretto quindi ripercorrere le scelte del Legislatore per cogliere
questi motivi di fondo e quelle scelte alle quali il tempo ha dato
valore e confermato e per verificare con serietà ed imparzialità quegli
strumenti e quegli interventi che si sono rivelati inadeguati.
L’impianto normativo voluto dalle riforme avviate dal 1997 in poi e che
hanno provato a tradurre nel nostro ordinamento le indicazioni
dell’Unione Europea stabilisce come a livello nazionale restino le
attribuzioni relative alla regolazione del diritto del lavoro, al
sistema informativo ed alle comunicazioni relative allo status di
disoccupazione, alla vigilanza ed al controllo delle condizioni del
lavoro ed alla definizione di livelli essenziali e standard di servizio
delle politiche del lavoro. Il processo di regionalizzazione si
definisce, a partire dall’impostazione del primo decreto del processo di
riforma ( il dlgs 469 del 1997) , attraverso l’attribuzione alle
Regioni della programmazione delle politiche del lavoro e della
formazione e della funzione di governo del mercato del lavoro, che si
definisce sulla base di veri e propri sistemi regionali per l’impiego.
Gli uffici di collocamento del Ministero del Lavoro diventano con la
prima riforma i “ centri per l’impiego”, che sono attribuiti alle
Province e che costituiscono il punto di erogazione e di gestione delle
politiche del lavoro e della formazione, che sono regionali e che
possono essere attribuite per delega dalla Regione alle Province, per
semplificare il processo di erogazione delle misure di politica attiva e
migliorarne l’efficacia. L’attribuzione dei centri per l’impiego al
livello provinciale è motivata da due aspetti di fondo, del tutto
oggettivi: la necessità di garantire un intervento di “ area vasta” che
corrisponda ai bacini territoriali per l’impiego , che si collocano in
una dimensione intermedia tra Regione e Comuni , e la necessità di
pianificare e governare con questa dimensione ottimale ( 150 mila
abitanti in media per centro per l’impiego) le politiche del lavoro e
della formazione . Questo è l’impianto originale del governo del mercato
del lavoro e dei servizi sul territorio.
Il modello definito dal decreto legislativo 469 del 1997 resta ancora oggi
l’impianto di base che regola il governo territoriale del lavoro ed in
questo assetto i centri per l’impiego non costituiscono uffici regionali
decentrati alle province o tantomeno punti di servizio su delega
regionale, quanto gli uffici chiamati a trasformare i vecchi uffici di
collocamento ministeriali in nuovi centri polifunzionali ed in grado di
intervenire per promuovere sul territorio le politiche del lavoro e
formative programmate dalla Regione e finanziate attraverso i fondi
europei. Si tratta evidentemente dei terminali territoriali pubblici del
sistema regionale per l’impiego, tuttavia la normativa è chiara
nell’attribuire ai centri per l’impiego in primo luogo la funzione di
esercizio esclusivo degli adempimenti relativi allo status di
disoccupazione, ereditati dalla precedente funzione del collocamento,
mentre le funzioni relative all’esercizio delle politiche del lavoro e
della formazione tramite i centri per l’impiego, che nel contesto
provinciale vanno a costituire i servizi provinciali per l’impiego, sono
su delega regionale e non sono né automatiche, né definite, né
garantite, ma spetta alla Regioni se e come attribuirle. Questo è il
vizio d’origine dei nostri centri per l’impiego.
Questa distinzione tra il ruolo dei centri per l’impiego e la funzione della
gestione delle politiche attive e formative chiarisce la diversità
presente sul territorio italiano in cui :
- i servizi provinciali per l’impiego hanno diversi livelli di delega, distinti in ogni regione e poco omogenei tra le regioni;
- i centri per l’impiego non esauriscono sul territorio le funzioni delegate dalle regioni su lavoro e formazione, in quanto le Province possono anche decidere nell’esercizio delle politiche delegate di promuovere sportelli mirati o specializzati che affianchino i centri per l’impiego ( es: gli sportelli per l’occupazione femminile) oppure , nel caso di sistemi che prevedono l’accreditamento, di costituire agenzie pubbliche che svolgono solo le funzioni delle politiche e non quelle del collocamento ( es: le AFOL presenti nelle province lombarde);
- in alcune regioni il processo di delega ha portato alla definizione di centri per l’impiego e per la formazione, sia come punti di servizio pubblici di ambito provinciale nei sistemi regionali (es: Marche , Toscana etc) che come ambiti di attribuzione resi possibili dall’accreditamento per i centri per l’impiego (es: Lombardia);
- i sistemi regionali che, a fronte delle novità introdotte dal decreto 276 del 2003, hanno proceduto con l’accreditamento dei servizi per il lavoro, hanno comportato la scelta dei centri per l’impiego provinciali di accreditarsi o meno all’erogazione delle politiche attive del lavoro regionali, in quanto non esiste un automatismo in questo senso. E’ palese in questo caso la distinzione tra la funzione dei centri per l’impiego attribuiti alle Province e le funzioni relative all’erogazione delle politiche del lavoro, regionali e nazionali.
La distinzione tra i centri per l’impiego come uffici preposti agli
adempimenti amministrativi del collocamento e della registrazione dello
status di disoccupazione e dell’orientamento al lavoro e quali punti di
servizio pubblici provinciali per l’erogazione delle politiche del
lavoro e della formazione è evidente ed impedisce una assimilazione
automatica di questi uffici provinciali nel sistema regionale del
lavoro. E’ chiaro che l’integrazione delle politiche regionali
attraverso la funzione dei centri per l’impiego è importante, ma questo
processo è variato in questi anni da regione a regione, anche in virtù
di scelte regionali tra loro non omogenee e per il fatto che i centri
per l’impiego continuano ad essere chiamati a svolgere anche funzioni
amministrative in ragione della normativa nazionale ( decreto
legislativo 181 del 2000 e norme successive).
3) COSA E’ STATO DECISO E COSA E’ STATO SPESO IN QUESTI ANNI
Tra il 2003 ed il 2013 l’evoluzione del quadro normativo ha comportato
alcune decisioni che sono intervenute in parte a modificare il quadro
delle regole del governo del mercato del lavoro ed in parte a confermare
le scelte precedenti :
- Con il decreto legislativo n.276 del 2003 si da il via ad un processo di estensione , oltre i centri pubblici per l’impiego provinciali, dei soggetti chiamati ad operare sul mercato del lavoro, nelle diverse funzioni previste ( selezione, intermediazione etc.) sia pubblici ( Comuni, Università, etc) che privati ( le agenzie per il lavoro, nelle diverse forme consentite, i consulenti del lavoro, etc);
- Ai sensi del nuovo impianto normativo è stato avviato un modello di servizi per il lavoro chiamato ad erogare le politiche del lavoro e formative nazionali e regionali attraverso un processo di accreditamento di questi servizi, che ha coinvolto anche i centri per l’impiego, e sulla base di un modello di competizione e non di collaborazione tra i servizi;
- La riforma del titolo V della Costituzione ha confermato la natura delle competenze regionali sul lavoro ed ha consentito alla maggior parte delle regioni italiani di non conformarsi al modello dell’accreditamento come proposto dal decreto legislativo 276 del 2003 e di promuovere i servizi in regime di collaborazione e non di competizione tra pubblico e privato.
In questo periodo il sistema dei centri per l’impiego si è consolidato
grazie all’utilizzo delle risorse FSE e ad uno specifico stanziamento
nazionale definito annualmente in Finanziaria. Va considerato tuttavia
come nel decennio trascorso i servizi per l’impiego italiani abbiano
potuto accedere a risorse molto inferiori alla media europea ( in Italia
la spesa sui servizi del PIL destinato al lavoro è del 3 per cento
contro il 12 per cento di media europea). I servizi pubblici per
l’impiego italiani sono stati nel decennio scorso destinatari di risorse
4 volte inferiori a quelle tedesche o francesi e 5 volte inferiori a
quelle disponibili per i servizi inglesi od olandesi. Le risorse umane a
disposizione dei centri per l’impiego italiani sono dieci volte
inferiori a quelle presenti negli analoghi job center plus del modello
pubblico inglese ( 7000 dipendenti contro 70mila) e 6 volte inferiori a
quelle francesi o tedesche. Le scelte del legislatore dopo le riforme
del 2003 hanno inoltre determinato una situazione caotica: la presenza
di diversi modelli regionali, che rispondevano ad indicazioni
antitetiche ( competizione o collaborazione tra pubblico e privato), la
diminuzione progressiva delle risorse, l’assenza di standard nazionali
di servizio, la diffusione di agenzie del lavoro, di intermediazione, di
altri centri pubblici di servizio in assenza di reti di governo
territoriale.
Inoltre nel 2008 alcune decisioni importanti hanno riguardato il sistema dei
centri per l’impiego pubblici: la decisione di interrompere i
finanziamenti nazionali, il venir meno delle risorse FSE per il
funzionamento dei centri per l’impiego e l’attribuzione da parte delle
regioni ai centri per l’impiego provinciali di una importante funzione
di erogazione degli interventi FSE per gli ammortizzatori in deroga in
contrasto alla crisi. Nel momento in cui i fondi sono terminati i centri
per l’impiego sono stati coinvolti nella gestione della crisi
occupazionale. Nonostante le difficoltà di risorse umane e finanziarie
la valutazione, espressa formalmente in diverse sedi, delle Regioni sul
funzionamento dei centri per l’impiego in funzione anticrisi è stata
lusinghiera ed i risultati soddisfacenti nella maggior parte delle
regioni italiane.
4)LE CONSEGUENZE DELLE SCELTE ED I RISULTATI
I dati e le analisi degli ultimi anni, anche alla luce dei report delle
agenzie governative Italialavoro ed ISFOL e delle indagini della
Commissione Europea, ci permettono di valutare le conseguenze delle
scelte di questi ultimi anni e di verificare i risultati.
- La debolezza strutturale del sistema dei servizi pubblici per i lavoro: le risorse professionali e finanziarie dei centri per l’impiego italiani sono decisamente inferiori rispetto alla media europea, così come l’attribuzione agli stessi dell’erogazione di politiche attive ( inadeguata e disomogenea tra i sistemi regionali) , di conseguenza la capacità di incontro domanda ed offerta non supera nel decennio trascorso il dato medio del 4 per cento;
- La debolezza dei servizi privati: le agenzie per il lavoro italiane non sono riuscite ad andare oltre la prevalenza della somministrazione, che rappresenta il 2,5 per cento del mercato del lavoro ( dato medio del decennio, ma ridimensionato dalla crisi), mentre le agenzie di intermediazione, mediazione e recruiting hanno un peso sul mercato del lavoro italiano molto limitato rispetto al resto d’Europa, anche per l’assenza di incentivi all’assunzione destinati a chi intermedia;
- La conseguente difficoltà delle politiche attive: la debolezza strutturale dei servizi per il lavoro rende molto difficile l’efficacia delle politiche attive, che in Italia, anche se sono quantitativamente inferiori alla media europea, hanno un impatto limitato sia per la difficoltà nella personalizzazione degli interventi che per la debolezza dei sistemi territoriali chiamati a governare le politiche;
- Il caos della goverance territoriale: i sistemi del lavoro nel decennio scorso hanno operato in assenza di livelli delle prestazioni garantiti a livello nazionale, standard di servizio esigibili e con modelli di reti territoriali del tutto diversi tra loro, che hanno determinato una assoluta disomogeneità, risultati poco comparabili ed una sostanziale inadeguatezza del modello di governo del mercato del lavoro sul territorio;
- Gli scarsi risultati del modello regionalista: l’indice che valuta la capacità competitiva delle regioni europee ( European competitiveness index) mostra come solo 4 regioni italiane su 20 abbiano un governo del mercato del lavoro che contribuisce a migliorare l’impatto dell’economia ( Veneto, Emilia Romagna, Toscana e Piemonte), mentre le performance migliori sono delle province autonome di Trento e Bolzano, anche per la pienezza delle funzioni e la dimensione territoriale.
- I pessimi risultati del modello competitivo e della proliferazione dei soggetti: le analisi del Ministero del Lavoro, i dati ( valutati anche dai rapporti Isfol) ed i confronti regionali mostrano come, in questo quadro, i sistemi che hanno sostenuto la promozione della competizione e dell’aumento dei soggetti autorizzati ai servizi per il lavoro e l’intermediazione non abbiano introdotto significativi miglioramenti, che invece si riscontrano nei sistemi regionali in cui valgono i principi di collaborazione ed una forte selezione qualitativa e quantitativa dei soggetti autorizzati ad operare per il lavoro e la formazione ;
- I buoni risultati delle deleghe provinciali: il processo di programmazione condivisa delle politiche del lavoro e della formazione tra Regione e Province ed il trasferimento di responsabilità e deleghe per l’erogazione delle relative politiche ( come peraltro indicato dal dlgs 469 del 1997) ai servizi provinciali per l’impiego ha migliorato i risultati;
- I buoni risultati della collaborazione pubblico privato: gli esempi di collaborazione tra pubblico privato, anche se non incentivati e comunque inferiori alle esigenze, hanno in genere determinato buoni risultati, in un contesto in cui le agenzie per il lavoro private sembrano trarre benefici dalla presenza di efficaci servizi pubblici sul territorio;
- I buoni risultati delle reti tra servizi : i programmi di politica del lavoro che in questi anni hanno determinato un impatto reale e positivo sul territorio si basano sulla promozione di reti territoriali pubbliche e private, la cui regia il più delle volte è a livello provinciale o sovra comunale, per via delle caratteristiche territoriali dell’intervento.
Alla luce di quanto esposto appare evidente come gli insufficienti risultati
del mercato del lavoro italiano di questi ultimi anni dipendano anche
dalle conseguenze delle scelte del legislatore e delle Regioni e del
mancato investimento su un sistema di servizi per il lavoro pubblico e
privato con standards, strumenti, risorse e regole di funzionamento e di
verifica. Appare importante che le scelte di riforma mettano mano a
questo sistema tenendo conto di queste evidenze, ben dimostrate e
verificate.
5)LA SITUAZIONE ATTUALE DEI SERVIZI PER IL LAVORO E LE DECISIONI DA PRENDERE
A tredici anni dalla riforma dei servizi per l’impiego e a quasi dieci
anni dall’istituzione delle agenzie per il lavoro il sistema italiano
dei servizi per il lavoro costituisce uno degli aspetti di maggiore
debolezza del mercato del lavoro. A fronte di una domanda sociale sempre
crescente i servizi per il lavoro pubblici e privati orientano meno
della metà dei lavoratori e disoccupati italiani che necessitano di
servizi di orientamento ed effettuano l’incontro tra domanda ed offerta
complessivamente per circa il 9 per cento degli avviati al lavoro (
percentuale che scende al 7 per cento se togliamo i lavoratori in
somministrazione da questo dato). Si tratta di un dato che mostra una
evidente inadeguatezza e che non è paragonabile con il dato degli altri
paesi europei in cui i servizi per i lavoro pubblici e privati nel
complesso orientano in media l’ottanta per cento dei disoccupati ed
intermediano il quaranta per cento di chi cerca lavoro.
Si tratta di risultati inadeguati, ma che sembrano conseguenti ad alcuni
mancati od incompleti interventi di riforma e di rafforzamento del
sistema.
Le risorse scarse, la governance confusa, i risultati dei modelli
sostenuti a livello nazionale ( regionalista e competitivo), nonché
l’assenza di un sistema nazionale di premialità automatica per i servizi
che intermediano rendono i nostri servizi per il lavoro del tutto
insufficienti e di conseguenza le politiche attive promosse con i fondi
europei poco efficaci.
L’intervento di riordino delle Province e la forte situazione di crisi in corso ha
portato in questi mesi delicati a due conseguenze: i centri per
l’impiego languono in assenza di indicazioni sul loro destino e le
agenzie per il lavoro chiudono e mandano in molti casi il loro personale
in contratti di solidarietà. Vanno prese con urgenza decisioni che
riguardano: i livelli delle prestazioni da garantire, le funzioni di
base che deve erogare il sistema pubblico, le funzioni che possono
essere erogate dai soggetti accreditati alla promozione delle politiche,
il ruolo e l’efficacia del patto “ di servizio”, le responsabilità del
governo territoriale del mercato del lavoro, il finanziamento dei
servizi e quello delle politiche.
6)LE INDICAZIONI DELLA RIFORMA FORNERO
In questo quadro interviene la legge 92 del 2012 di riforma del mercato
del lavoro che provvede a dare indicazioni che riguardano le politiche
attive, i nuovi ammortizzatori e la funzione dei servizi per l’impiego.
L’obiettivo ambizioso della Legge Fornero di correggere alcune storture
ed inefficienze evidenti del nostro mercato del lavoro tuttavia va
collegato ad una valutazione puntuale della realtà e delle ulteriori
decisioni che appaiono necessarie.
In questo senso la riforma Fornero interviene ribadendo la funzione e la
centralità dei servizi per l’impiego in diversi ambiti :
- nella comunicazione degli avviamenti e delle cessazioni ed in generale nella registrazione, verifica e controllo degli andamenti del mercato del lavoro e delle assunzioni;
- nella promozione del patto di servizio e del necessario collegamento tra l’erogazione dei nuovi ammortizzatori sociali riformati (AsPI) e la partecipazione ad un intervento di politica attiva , nel diritto-dovere del servizio al lavoro ( con la cancellazione dalle liste del disoccupato che rifiuta l’intervento);
- nello stimolo alla collaborazione tra servizi pubblici e privati per la qualificazione delle politiche attive e la promozione di interventi territoriali o legati a target;
- nella condivisione con le Regioni di livelli essenziali delle prestazioni dei servizi per l’impiego e delle politiche attive;
- nella verifica dei risultati come criteri di promozione dell’efficienza dei sistemi, anche con l’adozione di strumenti di premialità;
- nella promozione di reti territoriali in grado di integrare sul territorio i servizi alla persona ed allo sviluppo ( istruzione, formazione, lavoro ed incentivi alle imprese ed all’innovazione) e sostenere la capacità competitiva.
Rispetto ai servizi per il lavoro, la Legge Fornero ribadisce quindi la
funzione, presente in tutta Europa, dei servizi competenti sul
territorio alle diverse attribuzioni sul mercato del lavoro, dalla
registrazione della condizione di persona in cerca di lavoro, alla
definizione del patto di servizio, alla promozione degli interventi per
l’occupabilità ed il reimpiego.
Tuttavia il diritto-dovere del disoccupato del servizio per l’orientamento ed il
reimpiego, garantito ai sensi della legge Fornero, non è ad oggi
concretamente esigibile nella maggior parte dei sistemi regionali
dell’impiego italiani per via delle ragioni sopra esposte, che la stessa
legge di riforma intende affrontare con le regioni in successivi
specifici provvedimenti.
La Legge Fornero provvede infatti ad indicare gli obiettivi a cui devono
rispondere specifici decreti legislativi. Rispetto alle politiche attive
ed ai servizi per il lavoro, anello debole del mercato del lavoro
italiano, la legge rimanda quindi ad uno specifico decreto legislativo.
Si tratta di un decreto legislativo di riforma che nel nostro
ordinamento è stato previsto altre volte, la prima volta con il decreto
legislativo 181 del 2000, e che non è stato mai emanato.
I dieci anni “ persi” dal mercato del lavoro italiano coincidono quindi
anche con la mancata definizione di un intervento complessivo, di una
strategia di riforma dei servizi per il lavoro, delle politiche attive e
del governo del mercato del lavoro sul territorio. L’emanazione di
questo decreto legislativo e degli altri provvedimenti in materia di
servizi per il lavoro e politiche attive può tra l’altro restituire i
centri per l’impiego alla funzione che, in risposta alle indicazioni
dell’Unione Europea, il legislatore italiano aveva definito già nel
lontano 1997 e che è stata, come abbiamo visto, realizzata solo in
parte.
7)LE “NUOVE” PROVINCE E LE PROPOSTE DELL’UPI
L’articolo 17 del d.lgs.n.95/2012 sulla “spending review” configura le “nuove”
Province quali enti di area (ancora più) vasta che ricoprono funzioni di
grande rilevanza. La discussione sull’abolizione delle Province è
dunque ormai superata come pure l’idea, contenuta nel decreto Salva
Italia, di una Provincia “leggera” di mero coordinamento territoriale.
Oggi possiamo affermare che stanno nascendo nuove Province, più forti e
strutturate sul territorio, che hanno “riacquistato” funzioni
fondamentali tra cui quelle relative all’istruzione, alla programmazione
della rete scolastica e dell’offerta formativa, funzioni peraltro
strettamente connesse alla gestione dei centri per l’impiego e alle
politiche del lavoro. In questo quadro, anche in virtù dell’importanza
dell’ integrazione delle politiche è opportuno che istruzione,
formazione professionale e politiche attive per il lavoro vadano di pari
passo, mantenendo saldo il legame con il tessuto economico ed
imprenditoriale dei territori su cui devono essere calate.
In questo senso riteniamo che il decreto delegato (di cui all’art.48 della
legge 92/2012 di riforma del mercato del lavoro) in materia di servizi
per l’impiego e politiche attive debba essere lo strumento che (con una
decisione omogenea a livello nazionale) decida sull’attribuzione delle
funzioni relative ai CPI riconfermandone l’attribuzione in capo alle
Province che, come sappiamo, svolgono ormai da 15 anni il compito
dell’erogazione dei servizi per l’impiego, dell’orientamento e del
collocamento e con le Regioni si occupano della programmazione della
formazione professionale e degli interventi di politica attiva per il
reinserimento al lavoro.
Considerando infatti che il mercato del lavoro necessita di una pianificazione dei
servizi e delle politiche più vicina possibile ai cittadini ed alle
imprese, si ritiene fondamentale che il Governo ed il Parlamento
intervengano sul modello di governance stabilendo che il sistema degli
operatori accreditati costituisca il livello territoriale pubblico di
base di promozione delle politiche e dei servizi per il lavoro in
un’ottica di rete territoriale, ribadendo altresì che il livello di
erogazione e gestione dei servizi per l’impiego, dati gli standard
nazionali e le funzioni del sistema regionale, sia mantenuto alle
Province.
La ricetta infatti non è quella di spostare tali funzioni ad altri livelli
di governo per migliorarle, piuttosto occorrerebbe mantenere, radicare e
rafforzare in capo alle Province tali competenze. Non serve dunque
spostare le competenze, bensì investire sulla funzione per migliorarne
gli standard qualitativi e l’efficienza.
Il quadro delle esperienze italiane è tuttavia molto vario ed i sistemi
regionali poco omogenei e confrontabili, ma la centralità del ruolo
delle Province rispetto alle politiche del lavoro sia attive che passive
deve rappresentare a nostro avviso un punto di snodo per ogni
intervento di riforma del mercato del lavoro. Qualora le Regioni
disciplinassero infatti in maniera diversa l’articolazione delle
competenze degli SPI sul territorio con differenti modelli
organizzativi, si costituirebbe un forte ostacolo a una reale
definizione dei Lep, come richiesto dall’Unione Europea. Inoltre, se la
funzione venisse centralizzata a livello regionale, mancherebbe quella
necessaria terzietà rispetto al meccanismo di accreditamento degli Spi
pubblici e privati, dal momento che il soggetto accreditante
coinciderebbe con un possibile soggetto accreditato.
Alla luce di queste considerazioni e in linea con le indicazioni e gli
obiettivi della Legge di riforma del Mercato del lavoro, l’Unione delle
Province Italiane, propone un intervento che consideri :
- Il mantenimento dei centri per l’impiego come presidio territoriale di area vasta sul mercato del lavoro al livello provinciale, come snodo tra le funzioni amministrative del collocamento ( nazionali) e delle politiche del lavoro ( regionali);
- Il rafforzamento della funzione dei centri per l’impiego, con piani di miglioramento definiti con le Regioni, in grado di garantire livelli essenziali delle prestazioni su tutto il territorio nazionale;
- La definizione di una gamma fondamentale dei servizi che i centri per l’impiego devono erogare, omogenea e garantita a livello nazionale;
- La definizione della responsabilità pubblica nella definizione per il disoccupato del patto di servizio, propedeutico all’accesso agli ammortizzatori sociali, attraverso il centro per l’impiego competente;
- La promozione dei centri per l’impiego come presidio territoriale , da coinvolgere nei programmi territoriali di politica attiva;
- La previsione del livello provinciale come ambito di pianificazione delle politiche regionali del lavoro e della formazione;
- La definizione di uno stanziamento ordinario per il funzionamento dei centri per l’impiego e la stabilizzazione del relativo personale, con criteri di premialità.
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